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lunedì, settembre 5

Intervista a Matreus


di Plato

Parlando con matreus, nome vero Davide Bruno, si capisce subito che non si considera un fumettista canonico, bensì un narratore più d’istinto che di tecnica, artefice del fumetto solo, lui dice, in attesa di altri mezzi espressivi migliori e più fedeli alle sue idee (che avrà mai voluto dire? Ndr). Classe ’78, frequentatore del club del fumetto da un decennio, matreus è tra gli autori catanesi che da anni collabora con la fondazione Marco Montalbano e con la galleria progetti D’arte. Fin dalle prime battute si capisce che la tecnica è sempre stato un suo piccolo cruccio, autodefinendo il proprio stile “metodicamente barbarico”. Senza troppe tecniche, ne mezzi complicati, fin dai suoi 9 anni, matreus continua un viaggio nella propria fantasia, attraverso il disegno ed il racconto.


Autore di storie spesso complesse, altre volte buffe ed ironiche, dove dialoghi a volte poetici ed altisonanti fanno da sfondo ad un tratto pulito, apparentemente equilibrato, si avvicina più al genere europeo che italiano di fare fumetto. Più che nel ruolo di disegnatore sembra identificarsi maggiormente nello stato d'animo dell'autore, dicendosi capace di scavare nella psiche dei personaggi e delle situazioni mostrandone un animo segreto, riflessivo.

Quali sono i tuoi obiettivi quando decidi di rappresentare una storia?

Tutto nasce dall'idea di voler condividere una storia con il prossimo, uno stimolo che ti porta a cercare di formare e trasformare nel modo più dinamico e gradevole possibile il racconto che nella tua mente ha una forma limpida e definita, ma che all'esterno appare come puro caos. Comincia da qui la parte divertente, dove la mente lucida, la cultura che hai accumulato fino a quel punto, tutto quello che hai assorbito di solito viene fuori. Più smussi gli angoli della racconto, però, più snaturi il soggetto iniziale; ma anche quella è una scelta accurata che dipende dall'obiettivo finale dice ciò che stai facendo. Le cause iniziali, comunque, nascono da un fattore del tutto personale, quasi egoistico; un appetito che non si sazia finché il racconto non è dato alla luce, anche attraverso il disegno, la tecnica e soprattutto l’istinto.


Pare che a te piaccia molto raccontare, anche attraverso le immagini; credi che esista un solo modo di raccontare le storie migliori?

In questi anni d'esperienza mi sono fatto un'idea su come si racconti una storia, sebbene capirlo non significa che lo si riesca fare scientificamente ogni volta. Raccontare, soprattutto per immagini è la cosa più bella che l'uomo possa sperare di scoprire dentro sé e credo che sia proprio questo il segreto. È indubbio che esista un'alchimia precisa nel raccontare, mantenendo la storia viva, bilanciarla tenendo il lettore attaccato al racconto fino alla fine, equilibrare i personaggi dando ad ognuno un ruolo fondamentale; ma è anche vero che al di là di come si sia raccontato un soggetto ciò che importa alla fine è il pubblico a cui è rivolto. Credo che ognuno di noi assorba le parti di una storia in maniera diversa, in un certo senso è come se ognuno vivesse di eventi attraverso il proprio filtro personale; la cosa più importante che un narratore dovrebbe fare, a mio avviso, è quella di trasmettere il più possibile nell'opera che si sta compiendo; il risultato finale, infine, lo deciderà il lettore e solo il lettore.


Da molti anni collabori con la compagnia di “fumetto al cubo”; com’è cominciato tutto?

Attorno al 2000, spinto da una mostra di Davide Toffolo presso la galleria progetti d’arte; lì conobbi Antonino Rocca e presto anche Angelo Pavone, venne in seguito il turno del compianto Paolo Montalbano, tutti da sempre grandi sostenitori del fumetto a Catania. Successivamente allo stage di fumetto di Angelo, divenuto ormai uno status quo nella città, sono venute numerose mostre, progetti, scambi artistici e culturali profondissimi che oggi hanno trovato sfogo in questo prodotto, F3 appunto, che solo l'ultimo di una serie di eventi artistici da noi realizzati, e il primo di una serie di opere che faranno da voce e da cassa di risonanza della nostra fantasia.


Parlaci un po' di Crasheye, il tuo racconto all’interno di f3. Un appunto poi, sbaglio o mi è sembrato di riconoscere qualcuno là dentro ?

Si, non sbagli. Mi piace giocare con quello che ho dentro la testa, e mi diverto a prendere quel personaggio della mia infanzia, o che comunque mi ha colpito in modo particolare, tentando di dar loro un nuovo volto, una nuova pelle, magari più attuale.
Credo che ogni buon personaggio viva e sopravviva aggrappato ad un archetipo primordiale, archetipo a cui ancoro il nucleo di un mio racconto e lasciando solo che l’atmosfera della storia originale a cui mi ispiro diventi uno sfondo; operazione che comunque rimane un gioco, un divertimento, che in parte dedico ai personaggi preferiti della mia infanzia, in loro onore, senza volontà di copiare nulla. In Crasheye ho fatto qualcosa del genere, reinterpretando in modo giocoso e fantascientifico alcuni tra i principali personaggi di Segar, autore di Braccio di ferro. Braccio di ferro ed i suoi amici, infatti, appaiono reinterpretati in chiave diversa, ma rimanendo più o meno riconoscibili. Non è certo l'unica contaminazione all'interno della racconto, che vede, il protagonista Aaron Pugno di ferro alle prese con la ricerca della sua amata Aliive, l'unica a detenere il segreto della vita dentro di sé, contenuto a sua volta in un antico manufatto. A cercare di fermarlo l’acerrimo nemico Braatos, possente barbuto fustacchione pieno di sé, anche lui innamorato di Aliive. Non che ci sia molto da aggiungere sulla storia, ma vi invito a darle un’occhiata.


Quali limiti può avere la creatività e l'originalità in un campo dove questo spesso lascia spazio alle più tradizionali copie delle copie delle copie, che rappresentano alla fine una certezza economica più che un investimento per il futuro ?

Le creazioni dell'uomo da sempre hanno avuto bisogno della radice per poter crescere e fruttificare, perciò non credo che copiare o ispirarsi sia di per sé una penalità; è anche vero che essere originali oggi, e non è di certo il mio caso, in ogni campo rende la vita più dura. Il fumetto è di per sé una forma d'arte estremamente sfaccettata, fatta di generi, approcci differenti, che ne cambiano il senso finale sulla base del target definito di utenti a cui vengono rivolti; il fatto è che questi generi devono essere identificati da una forma, un colore, uno stile che li rappresenti e che rimanga simile per tutti coloro che scelgono di appartenere al quel genere, cosa che spesso lascia poco spazio a opere magari differenti e innovative. Una cosa è certa, però, se il prodotto è valido e concorrenziale prima o poi diventa capace di scavarsi la sua piccola nicchia di pubblico, che è più attento di quanto non si creda.


Se ti chiedessi di scegliere di buttare giù dalla torre fantascienza o fantasy, tu che risponderesti?

Probabilmente nessuno dei due; amo le commistioni e le contaminazioni fra i generi. Rimarrei sulla torre con tutti e due e magari darei vita ad un “Fantashy”, con fumosi draghi meccanici inquinanti, elfi con navi spaziali fatti di corteccia e cavalieri muniti di bioarmature per sopravvivere nello spazio e con spade munite si software integrati e magari anche capaci di analizzare il dna delle vittime per immagazzinarlo in un database galattico! (Tranquilli, alla fine dell’intervista ha ammesso di essere pazzo. ndr).


Il futuro cosa riserva per te?

difficile dire cosa ci sia dietro l'angolo, ma di certo il mare grande, e le possibilità ancora di più; io sarò sempre qui con il colpo in canna.


Tratta da fumettialcubo.blogspot

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